Da sempre il gioco ha rappresentato un modo per socializzare, sfidare la sorte e persino dialogare con il divino. Già nelle civiltà dell’Egitto, della Grecia e di Roma il gioco d’azzardo era parte integrante della vita quotidiana, al confine tra intrattenimento, rito e tabù religioso. Dadi, astragali e tavolieri raccontano un mondo dove il caso e la fede si intrecciavano, rivelando quanto la passione per la fortuna sia antica quanto la storia stessa dell’uomo.
In questo articolo tratteremo:
Egitto antico: rituali, tavolieri e primi dadi
Grecia antica: tra simposio astragali e morale
Roma antica: alea, divieti e grandi scommesse
Fonti, reperti e lascito culturale
Nell’antico Egitto, il gioco non era solo passatempo, ma un vero linguaggio sacro. Gli astragali egizi, ossicini levigati di pecora o capra, erano usati sia per divertimento che per scopi divinatori. Con il tempo vennero sostituiti dai primi dadi a sei facce, realizzati in osso o avorio, rinvenuti in tombe e siti archeologici databili al III millennio a.C.
Uno dei giochi più emblematici è il Senet egizio, un tavoliere composto da 30 caselle disposte su tre file da dieci. Era un gioco tipicamente appartenente alla nobiltà ma con il tempo divenne una pratica rituale, quasi un test spirituale di rinascita. Lo si ritrova infatti nelle rappresentazioni funerarie, come quella della regina Nefertari. In questo modo il Senet appare come un rito di passaggio dove il percorso delle pedine simboleggiava il viaggio dell’anima verso l’aldilà.
Di quell’epoca storica esistono anche papiri sul gioco d’azzardo che raccontano storie attorno a questo argomento ma che anche ammoniscono i giocatori imprudenti, ricordando che l’eccesso nel “lasciare tutto al caso” fosse malvisto dagli dèi. La religione, infatti, regolava anche il gioco e il caso era interpretato come volontà divina, quindi un comportamento d’azzardo poteva essere considerato empio se perseguito per brama di ricchezza.
In sintesi, il gioco in Egitto oscillava tra rito sacro e passatempo elitario. Tuttavia c’erano divieti e credenze religiose in Egitto che segnavano un netto confine tra fede e fortuna per cui l’uomo poteva certo sfidare la sorte, purché con rispetto verso le potenze superiori.
Il gioco d’azzardo nella Grecia antica era una consuetudine popolare, ma anche un terreno di riflessione filosofica. Gli astragali greci, simili a quelli egizi, erano usati sia dai bambini sia dagli adulti nei simposi, i celebri banchetti dove vino, musica e giochi si mescolavano alla discussione intellettuale.
C’erano anche i kyboi nei simposi, antenati dei moderni dadi, che venivano lanciati su tavoli o pavimenti decorati e spesso usati per stabilire turni, assegnare prove o scommettere piccole somme. Platone e Aristotele menzionano più volte i dadi come simbolo dell’imprevedibilità della vita, mentre gli autori comici come Aristofane ironizzavano sui giocatori incalliti, accusati di trascurare la famiglia e la polis.
Tra i giochi più diffusi vi erano anche quelli da tavoliere, come la petteia o i pessoi, simili a una dama o a un antenato degli scacchi, praticati sia per diletto sia per esercitare la strategia. In alcuni casi, i giocatori più abili attiravano pubblico e scommesse, trasformando la competizione in una forma di spettacolo sociale.
Sono anche storicamente documentate le scommesse dei giochi panellenici, dove l’azzardo assumeva una dimensione pubblica. Molti cittadini, infatti, scommettevano sulle vittorie di atleti e aurighi. Sebbene la morale greca predicasse la moderazione, le scommesse erano tollerate come parte integrante delle celebrazioni, purché non degenerassero in vizio. Le stesse leggi di Atene regolavano il gioco con severità solo quando questo portava a debiti o disordini.
Il gioco greco, dunque, si muoveva tra agonismo e sorte, tra ricerca del divertimento e ammonimento etico: un equilibrio fragile, ma radicato nel pensiero ellenico.
A Roma, il gioco d’azzardo era ovunque. Dadi e astragali, chiamati rispettivamente alea e tali, erano oggetti di culto popolare, impiegati tanto nei templi quanto nelle osterie. Le tesserae e le tabernae aleatoriae, vere e proprie case da gioco, considerate in qualche modo i casinò più antichi del mondo, ospitavano cittadini di ogni rango, anche se la legge romana ne vietava formalmente l’attività.
Il divieto del gioco d’azzardo, sancito da più editti repubblicani, era motivato dal timore che potesse alimentare vizi e indebitamento. Tuttavia, durante le Saturnalia (festività dedicate al dio Saturno) il gioco era non solo permesso, ma incoraggiato: in quei giorni schiavi e padroni si scambiavano i ruoli e lanciare i dadi diventava un rito di uguaglianza e fortuna.
E tra i passatempi più redditizi c’erano le scommesse su corse dei carri e ludi dove si scommetteva sulle gare sui carri al Circo Massimo, ma anche sui combattimenti dei gladiatori e le gare atletiche. Le puntate potevano raggiungere cifre elevate ma si ha notizia, attraverso la letteratura dell’epoca che anche i senatori stessi vi partecipavano di nascosto.
Questo nonostante esistessero precise sanzioni per il gioco illecito le quali prevedevano multe e, nei casi più gravi, la confisca dei beni. Ma le testimonianze letterarie (da Ovidio a Marziale) mostrano che l’abitudine al gioco era radicata nella società romana. Il gioco rappresentava una valvola di sfogo, un modo per sfidare il fato e riaffermare, anche nel rischio, la propria fortuna personale.
Le fonti sul gioco antico sono numerose e affascinanti. Ben prima che fossero nati i casinò più antichi del mondo come quello di Venezia o quello di Londra. I reperti archeologici dei giochi come dadi in avorio e osso, tavolieri incisi su pavimenti di templi, astragali in ceramica o bronzo ci restituiscono l’immagine di una pratica diffusa in ogni strato sociale. Scrittori come Erodoto, Cicerone e Plutarco ne hanno lasciato testimonianze divergenti: tra chi lo condannava come vizio e chi lo celebrava come passatempo nobile.
Ed è curioso notare come questa diatriba tra passatempo e limiti imposti dalla morale sia andata avanti per millenni, fino a giungere ancora oggi ai nostri tempi, in cui sono molto diffusi i giochi di casino, roulette e poker online e la loro fruizione è regolamentata in maniera seria e precisa.
Ma bisogna ricordare ancora una volta che gioco e religione nel mondo antico andavano a volte a braccetto, come strumento per interrogare il fato. Eppure, da quella tensione tra casualità e controllo, tra fede e calcolo, nasce una tradizione che ancora oggi ispira il mondo del gaming e dei casinò moderni.
Dai dadi egizi ai tavolieri greco-romani, l’uomo ha sempre cercato di interpretare la fortuna e di misurarsi con essa. Il gioco d’azzardo antico non è soltanto una curiosità storica: è il riflesso di un desiderio universale, quello di credere che, anche nel caos del caso, esista un ordine da scoprire.